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STORIE

Angela Missoni

IL CAPITALE UMANO

DI Naa Afragola

03 October 2016

di Nadia Afragola

Missoni è uno dei pochi marchi della moda italiana che può vantarsi di essere ancora al 100% un family business. Dalla sua fondazione al boom degli anni Ottanta, il testimone è passato da una all’altra generazione e oggi il successo è stato riconosciuto anche con una mostra, Missoni Art Colour, allestita prima al Museo Maga di Gallarate (città dove tutto è iniziato) e poi al Fashion and Textile Museum di Londra. Nato come piccolo laboratorio tessile a Gallarate, Missoni si spostò poi a Sumirago, sempre in provincia di Varese, dove ancora oggi ha sede l’azienda: era il 1953 quando fecero la loro comparsa le maglie con fantasia a righe e a zig zag. A capo di tutto Ottavio Missoni, il fondatore, e la moglie Rosita Jelmini che disegnò gli abiti fino al 1997, anno in cui passò il testimone alla figlia Angela Missoni, oggi unica designer di tutte le linee. È la storia di una famiglia italiana, quella che ci racconta in queste pagine Angela, la storia di una maison dove figli e nipoti hanno spesso posato per le pubblicità del marchio. Ma è la storia di chi ha reso importante la settima della moda di Milano. Forse non tutti lo sanno, ma fu proprio il marchio di Varese, nel 1966 a sfilare, per la prima volta al Teatro Gerolamo, portando così il prêt-à-porter a Milano.

Angela, che ricordi ha della sua infanzia?

Ricordi felici, di giochi sempre in compagnia di altri bambini, tanti bambini! Siamo una grande famiglia, quindi c'erano i miei fratelli, i miei cugini e molti, moltissimi, amici. Ognuno invitava i suoi, si “condividevano” e così coltivavamo relazioni diverse, che sono non di rado sopravvissute al tempo e restano amicizie ancora oggi. Poi c’erano le lunghe vacanze al mare, in una piccola isola della Dalmazia dove per molti anni i miei hanno affittato una casa. Non c’erano né gas, né elettricità, né acqua corrente... Si viveva all’aria aperta, immersi nell’acqua del mare, cuocendo alla griglia sugli scogli i pesci spesso pescati da noi, bevendo e cucinando con l’acqua dolce del pozzo. Erano giornate lunghissime trascorse all’aperto, erano gioiose, avventurose, sempre con il rumore delle cicale nelle orecchie, in compagnia dei miei fratelli e dei miei genitori, ma anche dei tanti parenti e amici di passaggio. C’erano ospiti che andavano e venivano, rallegrando le tavolate a cena, illuminate con candele e lampade a petrolio.

Sapeva già cosa voleva fare da grande?

Principalmente la mamma: avere e crescere dei figli è sempre stato il mio più grande sogno, il mio più ambizioso progetto. Poi direi che, in generale, ho avuto aspirazioni e occupazioni diverse, rivolte tutte però nella stessa direzione, ovvero a ridisegnare l’esistente. Avrei voluto fare l’architetto. O altrimenti, la progettista di  spazi, arredi e prodotti per l’infanzia, mirati a ottimizzare il lavoro dei genitori e la qualità di vita e gioco dei bambini. E ancora, l’imprenditrice nell’ambito delle colture organiche e dei prodotti biologici. Ovviamente anche la moda è sempre rientrata nei miei interessi: parliamo di un linguaggio e di un punto di vista estetico inalienabile, di un sogno a 360 gradi, quello di cui parlavo prima, ridisegnare l'esistente...

Per  anni  si  è rifiutata di lavorare con i suoi genitori. Dopo una breve esperienza a 18 anni come assistente della madre, presa da una crisi di rigetto lasciò l’Italia. E poi cosa è successo?

Non mi sono mai “rifiutata”. Ho lavorato dai 19 anni, nei periodi di vendita, per avere un’indipendenza economica, riuscendo così nello stesso periodo ad andare ad abitare da sola. Non mi sono mai trasferita del tutto all’estero. Ho lavorato, in seguito, come assistente di mia madre in atelier, dai 23 anni ai 28 anni, e poi ho avuto i miei tre figli… Ed è proprio in quel periodo, quando sono stata a casa con loro, che mi sono dedicata a progetti diversi e ho cominciato a pensare che potevo orientare la mia vita al di fuori dell’azienda. I miei genitori non mi hanno mai forzata a lavorare con loro, e questo discorso è valso anche per i miei fratelli: abbiamo tutti iniziato in maniera quasi naturale. Poi, quando ho capito bene il costo emotivo e psicologico che poteva avere su di me un’interazione quotidiana, fianco a fianco con il talento, l’esperienza e la determinazione imprenditoriale di mia madre Rosita e di mio padre Ottavio che vedevano molto lungo, mi sono informalmente prospettata un’alternativa.

Un’alternativa… In che senso?

Il nome e l’assetto imprenditoriale di Missoni sono come una grande cupola sotto la quale possono confluire e convivere attività diverse: Missoni non sono solo vestiti da indossare. Ho iniziato a pensare a qualcosa che fosse completamente concepita e controllata da me. Così, senza pressioni né imposizioni, mi sono sentita libera di prendere o lasciare, libera di confrontarmi con un progetto tutto mio o di non farlo, o di non fare. Ho accettato gli spunti che arrivavano dall’esterno, dapprima ho cominciato a occuparmi di nuovi progetti per Missoni, ad esempio la linea bambino, la profumeria, la pelletteria. Poi sono passata a impostare il progetto di brand identity che non era mai esistito fino a quel momento. È solo in seguito che ho capito che era la moda il vero ambito all’interno del quale avrei voluto esprimermi. È nata così la linea Angela Missoni: pezzi in maglia, tendenzialmente in tinta unita. Quello è stato per me un importante punto di partenza. Il modo vero con cui ho iniziato a comunicare con mia madre sullo stesso piano a livello lavorativo, creativo, professionale. Le sono piaciuta e a un certo punto, guardando una mia collezione, ha detto: «Questo è quello che Missoni dovrebbe essere oggi» e mi ha passato le redini creative dell’azienda.

È vero che ha provato anche ad allevare polli?

Sì, era una delle idee che avevo relativamente alle colture e agli allevamenti biologici di cui le ho parlato prima.

Cos’è la moda per lei?

Un gioco combinatorio che coinvolge istinto, cultura e  innovazione. Una personale, e libera, appropriazione e  interpretazione di dati, stilemi, spunti formali, elementi decorativi, contenuti estetici. La mia concezione della moda implica, alla pari, memoria e ricerca, passato e contemporaneità, norma e trasgressione, provocazione, sense of humour. Ho avuto la fortuna di ereditare un linguaggio esclusivo e  immediatamente universalmente riconoscibile, che può mutare all'infinito, esprimere significati diversi, interpretare e  improntare il tempo.

Nell’aprile del 1967 Missoni presentò la nuova collezione a palazzo Pitti a Firenze, facendo sfilare le modelle senza reggiseno. Fu uno scandalo. Da allora quanto è cambiato il modo di fare scandalo in passerella?

Non ridurrei l’episodio a uno scandalo, lo chiamerei piuttosto un’idea di comunicazione, allora forse involontaria o completamente mirata a valorizzare e spettacolarizzare i modelli... Fu un gesto o una scelta d’amore, contestualizzata in un periodo di grandi ideali stilistici e di autentica fiducia nel nuovo. Direi che eravamo di fronte a un’idea di comunicazione che ha precorso il tempo, visto che oggi il come è diventato più importante del cosa. Abbiamo vissuto, a partire da quegli anni, la destabilizzazione di un rito codificato come la sfilata che, da Yves Saint Laurent a Jean Paul Gaultier o da McQueen a Tisci, non ha conosciuto né limiti, né alcuna censura. E dal 1967 a oggi ha comunque avuto come suoi principali focus i cliché o i ghetti della bellezza e  della sessualità, i teatri del mostrare e del celare, dell’essere e dell’apparire.

La collezione autunno inverno 2016-17 che ha interamente disegnato è una delle migliori collezioni  di  sempre, a detta dei critici. Da dove arriva l’ispirazione?

Ho voluto riscoprire l’essenzialità la linearità del knitwear e lo spirito del tempo che quella moda ha generato. C'è una traccia ideale, ricordata a memoria, di anni che, tra Settanta e Ottanta, hanno visto trionfare la libertà di essere, sedurre, trasgredire. C'è la leggerezza di un vestire fatto di scelte e accostamenti informali, personali, stridenti, sbagliati, inaspettati. Il trionfo di capi che il tempo ha reso transgenerazionali, epocali passepartout come la giacca maschile, il giubbotto smanicato, il giaccone o il cappotto extra lungo, ecc. Tanti modelli codificati, facili, corti e lunghissimi, ampi e slim, veloci da indossare e accostare, che sono stati declinati con le texture, i punti, i colori e i riflessi straordinari del lurex di Missoni XXI secolo. Convivenze estreme di pattern storici, inedite bande, striature melange e nuovi cromatismi. Memoria e soluzioni esclusive, innovative. Il perfetto incontro di questi due aspetti direi che è la chiave del successo Missoni di oggi.

Molta  maglieria,  come  da  tradizione, senza rinunciare a look divertenti e sexy. Come si evita di dare una stagionalità precisa ai capi?

La maglia è divertente, la maglia è sexy. È longeva e versatile. È moda da collezione, fatta di pezzi che puoi riprendere, interpretare, ricontestualizzare stagionalmente, illimitatamente. Basta non perdere di vista tutto questo.

Con  questa  collezione  ha  rievocato  lo stile  degli anni  Settanta,  il  periodo  di maggior successo del marchio. Quelle righe iconiche e un certo zig zag come  fanno a non passare mai di moda?

Mio padre scherzava dicendo: «Ci copiano da tremila anni!». Le righe e gli zig zag non sono infatti delle esclusive Missoni. Prima di essere e diventare delle iconiche signature del nostro brand, rappresentano dei prodromi estetici, dei paradigmi della cultura tessile. Diciamo che i miei genitori hanno saputo tradurre questi pattern in un linguaggio moda. I “nostri” accostamenti e le “nostre” scansioni cromatiche trasfigurano all’infinito righe e zig zag e li trasformano in proposizioni di tendenza, in motivi della moda che non smettono di evocare e rimandare a un passato indefinibile, perfettamente postmoderno. Un passato contemporaneo… Ecco!

Quella  di  Missoni  è  la storia di una famiglia che è sempre stata  molto  unita. Si fa tanto parlare oggi di famiglia in Italia. Cosa ne pensa in merito?

Sono cresciuta con il culto della famiglia  trasmesso a tutti noi da mia madre Rosita. E della famiglia sono a totale favore. Tuttavia non è una cosa così facile come si può pensare, ma rappresenta un’incontestabile forza, una risorsa e un capitale inestimabile. Dategli valore, sempre.

Intervista pubblicata su Club Milano 34, settembre – ottobre 2016. Clicca qui per scaricare il magazine.

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