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CINEMA

Paolo Virzì

L'Italia che fa scuola

Dopo la recente esperienza torinese alla guida artistica della 31esima edizione el Torino Film Festival, Paolo Virzì è tornato nelle sale con il suo nuovo e già discusso film 'Il capitale umano', ritratto di uno spaccato sociale dell'Italia contemporanea. 

DI NADIA AFRAGOLA

30 January 2014

Quest’ultima edizione del Torino Film Festival ha provato a tornare alle origini di quello che voleva essere un festival metropolitano italiano. Dove è maggiormente rintracciabile la firma del suo direttore?

La mia firma non serve. C’è da esaltare la passione di un gruppo di lavoro che ha fatto sì che questo festival non fosse solo della città di Torino ma, pur restando popolare, fosse capace di avere quel respiro internazionale che un palcoscenico come quello sabaudo merita. Ecco perché si è deciso di celebrare alcuni grandi autori, di creare nuove sezioni e di orientarci verso prospettive  più raffinate e pop. Alla fine credo che il risultato sia stato vincente.

Alla direzione della kermesse l’hanno preceduta nell’ordine registi come Gianni Amelio e Nanni Moretti. Il cinema italiano passa da voi e inevitabilmente anche da Torino. Eppure si parla sempre di quello di Roma, del gemello che prova a rubare la scena. Perché tanta rivalità?

Credo che i due festival possano tranquillamente coesistere, ma la vicinanza temporale ha fatto sentire il secondo, quello torinese, come se gli fosse stato sottratto qualcosa. Forse la rivalità può essere rintracciata anche nei libri di storia: parliamo delle due capitali d’Italia e il tutto viene a tratti vissuto come fosse quasi una sfida calcistica. Le polemiche comunque mi annoiano, come quella intorno al red carpet, divenuto un affare di stato. Torino, per alcuni aspetti, ha un budget ridotto e non avrebbe neppure l’ubicazione adatta per mettere il tappeto rosso, poiché il festival si sviluppa in giro per la città tra diversi cinema. Credo che il bello sia stato proprio lo sfilare in mezzo alla gente.

Paolo Virzì è il regista capace di ritrarre nello stesso ciak un’Italia da ridere ma anche da piangere. Oggi forse più la seconda. Il nostro cinema è così in crisi come vogliono farci credere?

È il cinema mondiale a essere in crisi, per tanti motivi. Di questi tempi un film lo puoi vedere ovunque, dalla poltrona dell’aereo, ai tablet e così si paralizza un certo tipo di fruizione standard dei film. Riguardo a casa nostra, occorre ricordare che mentre in America si parla di industria cinematografica, da noi si ha a che fare con un’industria artigianale del cinema e, nonostante tutto, siamo ancora in grado di fare scuola.

È da poco uscito al cinema Il capitale umano, tratto dal romanzo di Stephen Amidon. Dal film emerge molto il disastro dell’Italia di oggi. Com’è nata l’idea di questa trasposizione?

Ho letto il romanzo, trovando in Stephen una penna raffinata, capace di spalancare una finestra su uno spicchio di mondo, e così, attraverso un thriller, ho provato a dare uno spaccato della Brianza, traslando e rimpicciolendo il raggio d’azione dell’autore. Il mio è un film italiano ma di ispirazione americana, che guarda all’Italia benestante con tutte le sue infinite contraddizioni.

In Italia si segue l’onda del successo e a volte delle critiche. Il suo “collega” Checco Zalone ha diviso l’Italia (soprattutto quella degli addetti ai lavori), sbancando al botteghino con Sole  a catinelle. Perché sembrano avere la meglio pellicole di questo genere?

In ogni paese che si rispetti il genere popolare avrà sempre successo: è troppo facile immedesimarsi o rivedere nello svolgimento della trama il vicino di casa, il collega d’ufficio o il panettiere. Non ho ancora visto l’ultimo film di Zalone, ma ho trovato i precedenti molto divertenti. Lui è un talento “naturale” di grande forza e intelligenza, come lo era Totò. Non tutti apprezzavano “il principe della risata”, eppure era considerato geniale dai più.

Oggi sono cambiate le modalità produttive, il modo di fare comunicazione e i budget a disposizione di chi fa cinema, questo che cosa ha comportato?

In quest’ultimo periodo si è vissuto nel circuito cinematografico un vero disastro. Sono state chiuse oltre 1000 sale, soprattutto quelle di piccole dimensioni. Si è così ridotto il bacino di utenza ma questo anche in virtù di alcune scelte “politiche” che di certo non hanno tutelato in alcun modo questo mondo. Prima la distribuzione nelle sale veicolava anche una circolazione di idee, capace di toccare anche gli spettatori nei piccoli paesini. Il tutto era di un’importanza capillare al fine di formare una buona cultura cinematografica e non solo. Oggi, invece, bisogna fare i conti con i multisala e con i tanti che scaricano illegalmente i film.

Intervista pubblicata su Club Milano 18, gennaio – febbraio 2013. Clicca qui per scaricare il magazine. 

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