DI Simone Zeni
02 January 2015
di Simone Zeni
Si occupa di comunicazione e creatività dal 1974, che consiglio si sente di dare ai giovani per imporsi in un am- biente tanto competitivo come quello pubblicitario?
Suggerirei di pensare ad altro: le opportunità offerte oggi dal settore, che comunque ha dimensioni molto piccole, sono scarse a fronte di un’enorme offerta di laureati in Scienze della Comunicazione e di persone formate dalle molte scuole specialistiche. Il settore stesso sta attraversando una profonda crisi che, mi auguro, sfocerà in qualche forma di rinnovamento. Il periodo dorato degli anni Ottanta è finito, le grandi agenzie sono ormai rette da logiche puramente finanziarie e le piccole fanno fatica.
Lei ha iniziato la sua carriera come copywriter negli anni Settanta e oggi il suo è uno dei nomi più noti nell’am- biente pubblicitario non solo italiano, come si è evoluto il settore nel corso dei decenni?
C’è da fare una premessa: negli anni Cinquanta e Sessanta la pubblicità è un autentico motore di sviluppo ed educazione, introduce a nuovi consumi e a differenti stili di vita un Paese che esce dalla guerra, con grandi masse di persone che si spostano dalle campagne alle città. La pubblicità insegna a usare il detersivo, il sapone e lo spazzolino da denti. In quegli anni l’advertising aiuta anche a consolidare le abitudini e il sentimento dell’Italia come nazione: se la tv diffonde l’uso della lingua nazionale, la pubblicità fa evolvere le abitudini. Tutto cambia negli anni Settanta: sono gli anni di piombo, Milano è una città cupa, c’è molta diffidenza nei confronti della pubblicità che, per farsi accettare dal pubblico, si trasforma diventando ironica, suadente e delicata.
E poi cos’è successo?
Negli anni Ottanta il benessere economico si estende, i desideri degli italiani si moltiplicano e la pubblicità si adegua facendosi spettacolare ed esuberante. Le aziende ci credono e l’inizio del decennio è ancora un periodo di grande fioritura creativa con campagne indimenticabili. Con gli anni Novanta comincia a cambiare il sistema, che si internazionalizza in una girandola di fusioni e acquisizioni, perdendo così buona parte della sua anima artigianale e perseguendo logiche puramente finanziarie: i manager si sostituiscono ai professionisti e il trasferimento di competenze alle nuove leve viene esternalizzato e delegato alle scuole. Dagli anni Duemila a oggi è difficile capire che cosa stia succedendo: il web rivoluziona l’intero sistema dei media e poi la crisi contrae i consumi.
Ecco, a proposito di web, lei ha ideato il sito Nuovo e utile. Teorie e pratiche della creatività e i suoi articoli per Internazionale sono sempre ampiamente condivisi sui social. Qual è il suo rapporto con internet?
Ottimo. Ho comprato il mio primo computer nel 1991. Per me che sono nata in un periodo in cui, per avere informazioni, si andava in biblioteca, il web è un’opportunità incredibile: tutto il mondo in un clic. Bisogna saper fare il clic giusto, però.
È nata a Milano, come pensa sia cambiata la metropoli in questi anni?
Sono nata in periferia, a Prato Centenaro, dalle parti di Greco: sembrava proprio di stare in campagna. Dal mio balcone, in autunno, si vedevano le pecore pascolare sulle stoppie del granturco. Non appena sono andata ad abitare da sola mi sono trasferita in centro. Oggi Milano continua a essere una grande città metropolitana, vivace, curiosa e nonostante tutto ricca di potenzialità. Una delle ultime storie di cui parlo su Nuovo e utile ne è la prova: è un progetto di prevenzione e pronto soccorso degli incidenti domestici, attorno al quale ho raccolto enti locali, istituti clinici, aziende private e associazioni, in una sinergia miracolosa che, forse, solo a Milano si sarebbe potuta verificare.
Ha una zona, un quartiere o semplicemente un luogo della città cui è più affezionata?
Uno dei vantaggi dell’abitare in centro è che molte cose sono a distanza pedonale, e io detesto usare la macchina. Quindi, appena posso, cammino, e mi piace farlo soprattutto nella parte medievale della città. Quando esco dalla Bocconi dopo aver fatto lezione mi faccio spesso una lunga camminata a piedi, fino a piazza Cadorna.
Proprio perché cammino molto, mi fa male vedere Milano violata dai tag, gli scarabocchi che deturpano ogni muro in qualsiasi quartiere. Ho viaggiato tanto, e le assicuro che né New York né San Francisco, Londra o Parigi o Shanghai sono conciate così. Niente a che fare con la street art, che invece è un fenomeno vitale e creativo, che andrebbe valorizzato.
Intervista pubblicata su Club Milano 23, novembre - dicembre 2014. Clicca qui per scaricare il magazine.