Modello per Guys MGMT, ma anche musicista e tattoo artist, Davide Di Sciascio si racconta, tra passerelle storiche, incidenti di backstage e nuove libertà creative. Dagli Starcontrol al blackwork più sottile, fino ai progetti futuri, il ritratto di un percorso in continua trasformazione
DI GIULIANO DEIDDA
05 December 2025
Sicuramente il DNA mi ha aiutato, considerato che entrambi i miei genitori sembrano tuttora molto più giovani della loro età. Paradossalmente, quando ho iniziato sembravo più adulto di quello che ero e, con il passare degli anni, non sono cambiato granché. Va detto che molti colleghi della mia generazione sono stati sovraesposti e alla fine hanno stancato. Io ho avuto la fortuna di lavorare con tutti i nomi importanti, brand, designer e fotografi, senza mai oltrepassare quel limite. Per esempio, ho esordito in passerella con Dolce&Gabbana e negli anni ho preso parte a diversi loro progetti, dall’alta sartoria alle campagne pubblicitarie.
Il cambiamento c’è stato con i social, che hanno aperto una finestra che non c’era. Io ho iniziato per puro caso, ero timido per cui ero totalmente nelle mani del mio agente. Ora è l’opposto. Prima facevi solo il modello, oggi i ragazzi hanno la strada spianata prima di entrare in un’agenzia, perché sono in grado di promuoversi da soli. Per me l’approccio ai social è stato difficile. All’inizio ho avuto un rifiuto per Instagram, preferivo non esserci. Ora ho tre account diversi.
Ce ne sono parecchi, di diverso genere. Quello più doloroso, nel senso letterale del termine, è legato a una sfilata di Gianfranco Ferré. Stavo per uscire in passerella e indossavo un gubbino di pelle aperto senza niente sotto. In quel momento mi hanno chiuso il gubbino prendendo la pelle del mio collo con la zip. Immaginate il dolore. Gli incidenti del backstage sono sempre divertenti. Una volta, alla sfilata di Antonio Marras in Triennale era sparito un ragazzo. Dopo varie ricerche l’hanno trovato che dormiva nello sgabuzzino.
Sono nati per iniziativa di Laura Casiraghi, la bassista, è lei che ci ha messo insieme. Io sono entrato a far parte della band per ultimo. Mi trovavo a Osaka in quel momento e, dopo 11 anni di vita con la valigia, mi sono accorto che non ce la facevo più. Quando sono tornato in Italia, mi è avuta l’idea di trasformare tutto quello che avevo scritto fino a quel momento in una cosa viva, attiva. Ho messo un annuncio in cui segnalavo le mie influenze musicali, Joy Division, The Cure, Radiohead, Interpol e così via. Per fortuna loro non avevano ancora un cantante.
Quello che facciamo è talmente definito che non sono sicuro che possa andar bene per quella piattaforma. Trovo pericoloso quello che succede dopo aver partecipato al talent. C’è il rischio di bruciarsi velocemente. Al contrario, quello che mi piace degli Starcontrol è che è ancora tutto molto divertente, non c’è nessuno che mi obbliga a far nulla. Personalmente rifiuto di inscatolare la musica. So quali sono le mie ispirazioni, ma non si può sapere che forma prenderanno nei nostri pezzi. Di sicuro c’è tanto dei gusti di tutti e tre.
In realtà è la passione più vecchia che ho. Ho sempre disegnato, fin da bambino. Non avendola coltivata, negli anni l’ho messa da parte. Appena prima che scoppiasse la pandemia di Covid, avevo acquistato un kit per imparare a tatuare sulla pelle sintetica, con macchinetta e inchiostro. Nel tostissimo periodo di isolamento forzato che è seguito, questa è stata la mia salvezza. Dopo la pelle sintetica sono passato a decorare quella di mia moglie, poi degli amici. Poi ho lavorato da Electric Wave Tattoo per un anno. L’idea era di chiudere con la moda, ma poi ho cambiato idea, grazie a una proposta allettante da parte di Loro Piana. Ne riparleremo più avanti.
Il mio è un Blackwork molto sottile, mi piace lavorare con l’Ago 1. Faccio progetti composti di tanti elementi piccolini.
Il prossimo disco degli Starcontrol. Ci siamo quasi.