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SPETTACOLO

Claudio Bisio

Una grande spalla su cui... ridere

Accantonata, almeno per ora, la grande ribalta televisiva di Zelig, Claudio Bisio, poliedrico attore ed entertainer milanese (al 91,3%), ha più tempo per il teatro, suo primo amore, e per il cinema, che lo ha praticamente adottato fin dai tempi di 'Mediterraneo', il film oscar del 1991.

DI Paolo Crespi

23 September 2014

Un piemontese (di Novi Ligure, provincia di Alessandria) trapiantato a Milano alla tenera età di sei mesi… Com’è il tuo rapporto con questa città?

Ci vivo da 57 anni, quindi non può essere un rapporto negativo. Di Milano apprezzo soprattutto le grandi possibilità che ti offre, sempre. Certo, a essere onesti, la metropoli è perfetta per chi ha tra i venti e i trent’anni: prima non hai soldi e sufficiente libertà, poi quando cominci a essere autonomo, tra cinema, mostre, teatri, eventi e aperitivi, da single te la spassi. Oltre una certa età, fatti salvi impegni e legami (soprattutto quelli dei figli che crescono e mettono radici), anche no. Io sono un bucolico, col tempo mi sono preso un piccolo fienile in Toscana dove fuggo appena posso. Chissà, in futuro potrebbe anche diventare il mio “buen retiro”. Ma per ora non mollo. 

La città che ti ha dato tanto e nella quale ti sei fatto le ossa come artista nel frattempo ha perso qualche pezzo. Tu come la vedi?

Ancora in salute. Certo, qualche teatro ha chiuso, il mitico Ciak di via Sangallo non c’è più, lo Smeraldo ha cambiato destinazione d’uso, i cinema di un tempo non ne parliamo: Abadan, Abanella… Cominciava così l’elenco delle sale della nostra gioventù: sparite, anche dalla memoria. Ma complessivamente le chance culturali non sono diminuite e qualcosa di nuovo è stato fatto. Il museo del ‘900 all’Arengario è bellissimo, le Gallerie d’Italia che ho visitato recentemente in piazza della Scala sono magnifiche (e gratuite). E anche su altri fronti le opportunità non mancano: dalla bella vetrina musicale del Carroponte a Sesto San Giovanni, all’apertura estiva dell’Ippodromo per gli spettacoli. 

Dai tuoi esordi di attore nei centri sociali, nonostante il successo “mainstream” del cinema e della tv, un canale di ascolto con i “movimenti” non l’hai mai chiuso. In politica, ti hanno mai proposto un impegno diretto? Pensi si realizzerà mai?

Sì, qualche volta, in passato (ora non più perché sanno che non mi interessa), mi hanno chiesto di mettermi in lista, pensando probabilmente a un ritorno, tutto da verificare, di consensi. Ma sono esattamente le cose che non amo della politica: non avendo il tempo di impegnarmi realmente non mi vedo come quei consiglieri o parlamentari di nome, ma assenteisti di fatto. E fare il “prestanome”, lo dico con grande serenità, mi sembra un’altra stupidata: quelli che “tanto poi mi dimetto” è meglio se ne stiano direttamente a casa. Ciò che invece ho fatto e forse farei ancora, sempre che non mi tirino per la giacchetta, è aderire con convinzione a una campagna, come nel caso dell’elezione a sindaco di Pisapia, con tanto di presenza sul palco in piazza del Duomo, il giorno dei doppi arcobaleni, forse un segno del cielo.

No a una “second life” nelle liste dei partiti, sì a un ruolo di fiancheggiatore attivo?

O qualcosa del genere. Tra le mie fortune c’è quella di essere diventato amico di Gherardo Colombo, l’ex magistrato di Mani Pulite. Il lavoro di divulgazione che fa nelle scuole, con la sua associazione “Sulle Regole”, è entusiasmante. Insieme torneremo presto a parlare di Costituzione. C’è già una data, il 7 novembre, probabilmente al Circolo Filologico. L’anno scorso incontrammo gli studenti realizzando anche un collegamento in streaming con i loro colleghi riuniti nei cinema di 70 città italiane. A giudicare dal numero di iscrizioni, il prossimo appuntamento sarà davvero seguitissimo. Anche questa, credo, è (bella, utile) politica.

Attore, cabarettista, doppiatore, conduttore televisivo e scrittore italiano… (cito da Wikipedia). Una carriera incredibile, a fronte di tanti altri che invece non ce la fanno. Quale di questi “mestieri”, che poi sono tutti collegati fra loro, ti appartiene meno e cosa invece secondo te ha fatto scattare (ormai molti anni fa) la molla del successo? La simpatia, la bravura, senza dimenticare il fattore “c”…

Toglierei doppiatore, che in effetti non sono. In Italia è una professione importante, ben remunerata, c’è gente che la svolge benissimo. A suo tempo, appena diplomato alla scuola del Piccolo (la Paolo Grassi), tentai un provino per un lavoro di doppiaggio, ma gli esaminatori mi “segarono”. Trent’anni dopo, ironia della sorte, mi chiamano per fare L’era glaciale e io avverto: guardate chenon sono adatto, i vostri predecessori mi hanno bocciato! Invece poi è stato divertente, credo non solo per me. E tambien per l’appellativo di scrittore, dato che all’attivo ho solo un paio di libri con Baldini e Castoldi, le raccolte dei miei monologhi, e più recentemente Doppio misto (Feltrinelli), a quattro mani con Sandra Bonzi, mia moglie. Fattore “c”: beh, è determinante, ma subito dopo il talento, che ahimé non basta. Nel mio caso il primo successo vero dal punto di vista popolare fu, nel ’91 (dopo dieci anni di teatro all’Elfo con Paolo Rossi, Silvio Orlando, Giuseppe Cederna, il cabaret al Derby con Antonio Catania…), una canzone, Rapput dell’amico Rocco Tanica: la versione discografica, un “singolo”, esplose letteralmente, tanto che quell’estate spopolò sulle radio tipo Vamos a la playa dei Righeira nel decennio precedente. Pensa, quell’agosto ero in vacanza a Pantelleria, entro in un locale e sento il pianobarista locale che la fa tutta, e non in mio onore (nessuno ancora mi riconosceva per la strada) ma perché era l’hit del momento, e per giunta rap, quando il genere da noi manco esisteva. Insomma, Wikipedia va aggiornata: la prima volta che ho sfondato è stato come cantante! 

La conduzione di Zelig ti manca?

La tv non tanto, il clima del locale sì. Anche se spesso ci torno a vedere gli amici: Gino & Michele, Giancarlo Bozzo, i comici Katia, Angelo, Gianni Cibelli, Federico Basso. Assisto ai loro debutti, loro vengono a vedere i miei. La definizione “conduttore” a Zelig mi stava un po’ stretta. Perché conduttore non sono e perché lì facevo un po’ tutto: comico, spalla, padrone di casa, quell’insieme di cose un po’ mi manca, come mi manca l’esperienza, forse irripetibile, dello Zelig Tour nei primi anni Duemila, prima con Michelle Hunziker poi con Laura Freddi e tutto il cast di allora in giro per stadi e arene estive. Anche se lasciare Zelig a un certo punto è stato vitale: per evolvermi ed evitare, dopo quindici anni, il rischio della routine.

E fare anche altro…

Certo, con i figli un po’ più grandi e prima di invecchiare del tutto volevo dedicare più tempo al resto della mia attività, il teatro in primis (vedi Gli sdraiati di Michele Serra con cui ho debuttato prima dell’estate a Ravenna, a marzo 2015 lo porteremo a Milano allo Strehler) e i film, numerosi ma infilati “di sfroso” negli anni zelighiani.

Ora ne parliamo, ma un tuo ritorno al cabaret live, nelle “cave”, da artista affermato che torna sui propri passi, un po’, mi si passi il paragone, come Woody Allen quando va (o andava) a suonare il clarinetto nel clubino di Manhattan, è un’ipotesi ammissibile? Azzarderei che lì c’è tutto un pubblico che ti aspetta con entusiasmo…

Non lo escludo affatto, e anzi confesso che materiale da parte ne avrei. Per una cosa piccola, però, solo mia, ma anche per una cosa “media”, con la partecipazione di qualche amico. Come Paolino Jannacci e i suoi splendidi musicisti, con cui in effetti c’è in animo di fare qualcosa, una sorta di cabaret musicale nel solco del teatro canzone di Gaber, di cui siamo tutti figli.

Venendo al cinema, in Confusi e felici, terzo film di Massimiliano Bruno e primo con te protagonista, in uscita il 30 ottobre, sei uno psicanalista in crisi che si barrica in casa e sono i suoi pazienti, in una sorta di rovesciamento delle parti, a doverlo “stanare”. Come sei arrivato a questo punto?

Conoscevo Bruno, che prima di essere autore di Nessuno mi può giudicare, con Paola Cortellesi, e di Viva l’Italia, con Michele Placido, è stato lui stesso attore e sceneggiatore, ma non avevo mai lavorato direttamente con lui. È il cinema che piace a me: le commedie non stupide e un po’ amare. Io ne ho fatti tanti di questi tentativi, alcuni ben riusciti anche al botteghino come Benvenuti al Sud (sesto incasso nella storia del cinema italiano), altri premiati dalla critica per la loro qualità come Si può fare. Con qualche flop, film di cassetta che comunque rivendico, ma nessuno scheletro nell’armadio. Riuscire a percorrere la strada intermedia, più stretta e difficile perché se ti va bene hai dalla tua la critica e gli incassi, se ti va male ti ammazzano tutti, è la mia massima aspirazione.

Come ti trovi nel ruolo?

A meraviglia, anche se all’inizio temevo un po’ il personaggio. Perché con la depressione che lo accompagna è l’unico che non fa ridere per niente, in una pellicola che ha invece molti spunti e personaggi comici interpretati dai miei colleghi Marco Giallini, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti, Pietro Sermonti, lo stesso Bruno. Poi mi sono convinto e ho trovato la mia misura. Personalmente da uno psicanalista non ci sono mai andato, anche per motivi di tempo: è un processo lungo, fatto di continuità e di innumerevoli sedute. Ma non lo escludo a priori. Forse mi illudo, facendo il mestiere dell’attore, che è un’analisi continua, di non averne, per ora, bisogno.

Della tua vita privata si sa poco, quali sono le cose della tua famiglia di cui vai più fiero?

Di quella di origine, che era umile – mamma maestra elementare, papà rappresentante di commercio – la capacità di farsi da sé, contando solo sulle proprie forze. E l’onestà totale. Di quella che ho costruito con Sandra, due figli adolescenti, maschio e femmina rispettivamente di 16 e 18 anni, e un labrador, sono felicissimo. Riusciamo ad andare d’accordo e, come si dice, “funzioniamo bene”. Il segreto? Forse che io non ci sono quasi mai…

 

Foto nel corpo del testo: una piccola parte del cast di Confusi e felici, nelle sale cinematografiche dal 30 ottobre: da sinistra, Marco Giallini, Anna Foglietta, Claudio Bisio e il regista Massimiliano Bruno, che si è ritagliato anche un ruolo da attore.

Foto in alto di Maria Marin

Intervista pubblicata su Club Milano 22, settembre - ottobre 2014. Clicca qui per scaricare il magazine.

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