Direttrice della rivista Interni, ha avuto l’intuizione di lanciare da zero una manifestazione che dal 1990 anima la città di Milano, celebrando il design, l’architettura e la creatività. Ne abbiamo chiacchierato nel suo appartamento nel cuore di Brera, aspettando la Design Week di giugno.
DI MARZIA NICOLINI
25 May 2022
Sicuramente c’è molta adrenalina e l’attesa di una settimana ricca di proposte, con spazio per nuovi nomi e tante sorprese.
Nel 1990 la rivista Interni decise di colmare il vuoto lasciato dall’edizione settembrina del Salone del Mobile di Milano. La nostra fu una risposta spontanea, che si concretizzò coinvolgendo showroom, negozi di arredamento e gallerie nelle varie aree di Milano, da viale Certosa fino al centro. Il nome che avevamo dato all’evento originale era Interni Designers’s Week: fu un immediato successo e un’esperienza che nei decenni a venire si è articolata e ampliata, arrivando a coprire ogni quartiere di Milano. Durante questi due anni di pandemia abbiamo voluto procedere come nel 1990 e con l’obiettivo di non lasciare la città deserta e scoperta dalla Settimana del Mobile abbiamo organizzato dei circuiti in città, sostenendo la cultura del design e i suoi artefici.
Tutte le Design Week conservano negli anni a venire qualcosa di particolare, una sorpresa inaspettata destinata a restare impressa nella memoria, un incontro inaspettato. Certo, le installazioni di Marcel Wanders restano indimenticabili. Così come il modo in cui natura e design interagiscono poeticamente nei progetti creati all’interno dell’Orto Botanico di Brera. Splendidi anche i progetti di Ma Yansong/MAD architects. Ma la verità è che ogni volta ho l’impressione che l’ultima Design Week sia stata la più bella. Ed è facilissimo dimenticare qualche nome che andrebbe assolutamente menzionato. Come quello dei miei mentori e amici Alessandro Mendini e Michele De Lucchi: i confronti e le lunghe chiacchierate con loro sono sempre stati di ispirazione e spunto.
Io che – ammetto – dormirei fino a tardi, esco di casa alle 8 e 30, per essere presente alle primissime manifestazioni del mattino. Una location per me imprescindibile è l’Università degli Studi di via Festa del Perdono, fulcro delle nostre installazioni del FuoriSalone, oltre che luogo a me caro, poiché sede dei miei studi. Alle 9 sono in Statale e nel frattempo passo dall’Orto Botanico di Brera. Poi mi allungo verso via Durini, corso Monforte e il centro.
Ogni anno porta con sé sempre delle novità, ma spesso resto affascinata dalla capacità di sorprendere e dall’inventiva fresca dei giovani designer che si affacciano al palcoscenico mondiale con tutta la loro verve creativa. Ho un debole per le installazioni di Tokujin Yoshioka, ricordo ancora la prima volta che ha presentato le sue opere a Milano, così come resto affascinata da ogni progetto di studio Nendo e di Carlo Ratti. Il filo conduttore delle giornate e degli incontri durante la settimana del design è il senso di assoluta meraviglia di fronte a quelle che sono a tutti gli effetti delle Wunderkammer.
Abito in via Solferino, a un passo dalla Pinacoteca di Brera, di conseguenza i miei circuiti e le mie visite iniziano sempre da qui, quartiere al quale sono affettivamente legata. Ma quello che più amo della Design Week è la capacità di far dialogare storia e design contemporaneo. È un’occasione unica per far scoprire ai cittadini e ai visitatori luoghi altrimenti inaccessibili, dai conventi alle corti private dei palazzi. Ormai la Design Week copre coerentemente tutta la città, da Ventura-Lambrate alle 5Vie, da Tortona a Porta Romana.
Come Interni abbiamo realizzato due importanti mostre internazionali. La prima a Pechino nel 2011, ospitati dal National Museum of China, con a disposizione una superficie di 2000 metri quadrati e il Ministero della Cultura Cinese come partner ufficiale. Fu un enorme riconoscimento e un incarico non da poco. Il compito era quello di allestire un’esposizione sul design internazionale. Riuscimmo a far arrivare oltre 700 prodotti a Pechino e vennero tutti i big del settore, da Stefano Boeri a Patricia Urquiola. Poi ci fu l’esperienza a Città del Messico: nel 2017-2017 dedicammo tre numeri alla città, con presentazione al Museo Soumaya e il coinvolgimento dell’ambasciata italiana. In entrambi i casi si trattò di esperienze all’insegna delle difficoltà last minute da gestire, ma quante soddisfazioni a progetti ultimati.
Ho scoperto Milano perché ho studiato in Statale (alla facoltà di Giurisprudenza). Da allora mi sono fermata in pianta stabile, perché sapevo che era la città giusta per il lavoro che sognavo. Sono legata affettivamente a Milano, ma sento ben salde le mie radici emiliane. Sono originaria di Fiorenzuola e ho una casa a Castell’Arquato, dove torno con grande felicità quasi tutti i fine settimana.
Con un’iniziale e genuina dose di stupore, oltre che di entusiasmo. Nella mia vita ho sempre avuto l’impressione che le cose mi siano accadute in modo casuale, mai programmato. Ma la gratificazione per ogni riconoscimento è autentica e dura nel tempo. L’Ambrogino mi è stato assegnato per l’invenzione del FuoriSalone, mentre il Compasso d’Oro per aver contribuito a far conoscere e apprezzare il design italiano su scala globale.
È un librone da collezione, con oltre 1000 immagini e più di 500 pagine. Ne vado molto orgogliosa. Perfetto per ripercorrere la storia del design e quella di Milano, ci aiuta a ricordare la progressione di quanto accaduto alla città, anno dopo anno, la sua evoluzione e capacità attrattiva, fino a farle ottenere il meritato primato di capitale del design. Vi troverete le tappe, gli avvenimenti e gli eventi più emblematici a partire dal 1990, quando tutto ebbe inizio.
L'intervista a Gilda Bjardi è stata pubblicata sul Club Milano 63. Sfoglia qui il magazine.
In apertura, Gilda Bojardi. Foto di Matteo Cherubino.