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PERSONE

Mauro Pescio

“Io ero il milanese”, da podcast a libro

Attore di teatro, da anni podcaster di successo, Mauro Pescio sta per pubblicare il suo primo libro. Nato, come spesso gli capita, da un incontro con una persona speciale.

DI MARZIA NICOLINI

16 January 2023

Ha capito cosa voleva fare da grande un giorno in cui, adolescente, ha deciso di bigiare il liceo e si è ritrovato in un bar a leggere l’annuncio di un corso di teatro amatoriale nel novarese, dove abitava. Lui è Mauro Pescio, attore di teatro, ma anche e soprattutto narratore di storie, più precisamente autore di podcast. Il suo ultimo lavoro in formato podcast si chiama Io ero il milanese ed è la storia vera di Lorenzo, ex carcerato ed ex rapinatore che un giorno si ritrova fuori, nel mondo, dopo decenni al confino tra le mura di una cella. Un progetto audio che ha riscosso un tale successo da incuriosire Mondadori. Il gruppo editoriale, infatti, ha chiesto a Pescio di trasformare il tutto in libro (la presentazione milanese avverrà il 22 febbraio alla Feltrinelli di piazza Piemonte, ma l’uscita in libreria è prevista a fine gennaio). Ne parliamo con l’autore, che oggi vive a Roma, anche se spesso e volentieri è in viaggio per raccogliere le testimonianze e le vite di persone che, un giorno, diventeranno protagoniste delle sue storie.

Dalla provincia di Novara alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano. Com'è stato l’impatto?

Forte e bellissimo. A 17 anni sapevo già di voler fare teatro. Ho fatto un provino alla Paolo Grassi e sono stato preso. Subito mi sono trasferito a Milano, non avevo neanche 19 anni. Tutto nella scuola mi coinvolgeva. La formazione prevedeva quattro anni full time. Oggi posso dire che sono stati gli anni piu importanti della mia vita. Gli insegnanti erano incredibili, ricordo le lezioni di Gabriele Vacis, Giovanni Storti, Paolo Rossi, Dario Fo e la scuola ha rappresentato a una vera e propria rivoluzione nella mia vita, un momento esaltante.

Quali insegnamenti le sono rimasti?

Più che insegnar?ci un mestiere in maniera tecnica e didattica, la scuola ci ha istruito a preparare un territorio dove la creatività potesse liberamente esprimersi. Un approccio alla vita che è sempre rimasto con me. E poi si respirava un’inebriante tensione idealistica. Eravamo a metà degli anni Novanta e avevamo l’idea di un teatro per tutti, con funzione educativa. Mi sono rimaste impresse le lezioni di Maria Grazia Gregori, giornalista de L’Unità, critica teatrale e docente di Storia del Teatro e della regia. È stata una scuola che mi ha aperto la testa e il cuore.

Dopo ha fatto moltissimi mestieri, dall’imbianchino al cameriere…

Il fatto è che mi sono diplomato a 23 anni e sono uscito dalla scuola, che era una sorta di mondo protetto e coeso, giovanissimo. Come è facile immaginare l’impatto con la realtà non è stato facilissimo: ho alternato tanti lavoretti al mestiere di attore, e questo mi è servito molto. Sono convinto che se non stai in mezzo alla vita diventa difficile, se non impossibile, raccontarla. Non riesco a lavorare stando fisso alla scrivania di casa. Penso alla lezione di Jack London e infatti amo il racconto che arriva da esperienze personali.

Dal 2013 ha iniziato a occuparsi di podcast. Come è nato l’interesse per questa forma di comunicazione?

Ancora prima, ho iniziato con la radio. Facevo una trasmissione con Matteo Caccia e grazie al lavoro in radio ho trovato un medium efficace e a me molto affine per veicolare racconti desunti dalla realtà. Amo raccontare storie, questo è quello che faccio, ma senza la tecnicità o il dovere di informazione che guida un giornalista. L’80% del mio lavoro, che ha molto di antropologico, consiste nel creare un territorio di fiducia tra me e la persona che ho di fronte. Il mio approccio è quello di raccontare una storia in cui anche altri possano riconoscersi.

Qualcuno l’ha ispirata?

Sicuramente sono rimasto folgorato dal lavoro di Nuto Revelli, storico capo-partigiano, scrittore e giornalista che negli anni ’60, armato di magnetofono, ha intervistato un gran numero di contadini nelle aree agricole del nord Italia interessate da un fortissimo spopolamento. Al tempo, infatti, le campagne si svuotavano rapidamente perché tutti andavano in cerca di lavoro nel triangolo industriale di Milano-Torino-Genova. Il lavoro è raccolto in una serie di libri pubblicati da Einaudi e leggerli per me è stato importantissimo.

Tra i suoi ultimi lavori c’è Io ero il milanese, storia vera di Lorenzo. Ci racconta come ha conosciuto Lorenzo e come ha deciso di rendere la sua storia un podcast?

Sono arrivato da Lorenzo in un periodo in cui ero già ferrato sul processo di raccolta e narrazione delle storie, dopo anni di radio e podcast. Quando l’ho conosciuto, ho avvertito una passione immediata. Era uscito da pochissimo dal carcere, io avevo 43 anni, lui 41. Ci siamo conosciuti a Padova, dove mi ero recato in cerca di storie. Storie che non avevo trovato, ma alcuni giorni dopo ho ricevuto una telefonata dalla direttrice della rivista Ristretti Orizzonti, sulla quale scrivono i detenuti del carcere di Padova.

Qual era lo scopo della telefonata?

La direttrice mi ha detto: torna subito a Padova perché c’è una persona che devi assolutamente conoscere. Lorenzo aveva 20 anni di carcere davanti e poi è uscito improvvisamente. Ci siamo incontrati 15 giorni dopo il rilascio dal carcere e ho capito di avere di fronte una persona umanamente ricca, molto desiderosa di confrontarsi, raccontarsi in una sorta di nemesi nei confronti di se stesso. Mi sono accorto della potenza metaforica della sua storia, una storia di rinascita reale che mi ha fatto pensare a Michelangelo e Rodin: entrambi affermavano di liberare delle forme dal marmo. Ho scavato nella storia di Lorenzo e lui me l’ha permesso con generosità.

Ora la storia di Lorenzo diventa anche un libro per Mondadori.

Avrei potuto prendere i copioni del podcast e tradurli, avendo un mucchio di materiale già pronto. Ma ho deciso di godermi la fruizione più lenta e metaforica che lo scrivere un libro offre. E infatti ho tradotto il tutto con un linguaggio da lettura e non da ascolto. Spero che la storia di Lorenzo arrivi a tante persone. Con il podcast abbiamo raggiunto numeri insperati e l’aspetto più bello e sorprendente è che nei feedback dei tantissimi ascoltatori nessuno, ma proprio nessuno, si è lasciato andare a commenti di odio e insulto. Una rarità nell’epoca dell’hating imperante sui social. E una sorpresa che mi ha reso incredibilmente felice.

mauro pescio io ero milanese

Mauro Pescio 
Io ero il milanese 
Mondadori

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