UN CINEFILO ECUMENICO
DI SIMONE ZENI
10 June 2014
Ci sono nato e ci vivo e non sarei capace di farne a meno. Certo, ci vedo anche i limiti e i difetti – usando un eufemismo direi che la vita culturale di questo nuovo millennio fa molto rimpiangere quella degli anni Sessanta o Settanta, quando cominciavo a scoprire il cinema e il teatro – però ogni tanto arriva qualche segnale di rinascita. Come l’imprenditore privato che ha deciso di pagare di tasca propria la possibilità che quest’anno si potesse fare ancora una volta la rassegna Cannes a Milano, visto che l’assessorato alla cultura della Provincia aveva deciso di non finanziarlo.
Vivo tra le colonne di San Lorenzo e Corso Genova e quel quartiere mi piace moltissimo: c’è ancora una vita a misura d’uomo, dove si saluta il macellaio e ci si ritrova al bar per il caffè della mattina. Mi dà l’impressione di vivere in un piccolo villaggio e la cosa mi mette molto a mio agio.
Il concorso ha proposto una serie di nomi che di solito sono garanzia di buon cinema: i fratelli Dardenne, Mike Leigh, Cronenberg, Assayas. Mi hanno incuriosito The Search di Hazanavicius – che è una specie di remake di Odissea Tragica di Zinnemann, che ho amato tantissimo – ma anche il film di Bennett Miller. Naturalmente ho tifato per Alice Rohrwacher.
Penso che Alice Rohrwacher sia una bella certezza per il cinema italiano, anche se ha diretto solo due lungometraggi. Ha una sensibilità, una delicatezza ma anche una lucidità, davvero esemplari. Asia Argento è più altalenante, a volte convince, altre meno. In ogni caso non mi sembra che «l’altra parte del cielo» cinematografico stia attraversando un grande periodo. Ne abbiamo di registe donne: le Comencini, l’Archibugi, la De Lillo, Valia Santelle, Maria Sole Tognazzi per fare solo qualche nome, ma sono sempre viste un po’ come “eccezioni”, mosche bianche. Fanno fatica a essere considerate senza connotazioni di genere.
Penso di aver fatto un lavoro interessante soprattutto per quanto riguarda i documentari, anche quelli del passato, o sui corti degli autori più famosi. Così come l’inizio di un lavoro di recupero di cinematografie poco frequentate in Italia, come l’indiana o la giapponese. Ma non posso dire di essere interessato più da questo o dal quel film: la mia ambizione è di essere il più ecumenico possibile.
Per esempio alcuni film dei Coen o Le quattro verità di Frammartino o, tornando più indietro, Tutti a casa di Comencini e L’esorcista di Friedkin. Più aumenta la distanza dalla prima visione più si capiscono i meriti o i difetti dei film. Posso già aggiungere che nella prossima edizione saliranno a quattro stelle film come Narciso nero di Powelle Pressburger o Una donna sotto influenza di Cassavetes. E le revisioni non finiranno qui.
Mi sembra un film sopravvalutato, con delle belle intuizioni visive, alcuni personaggi che si stagliano nella memoria – penso soprattutto alla Ramona di Sabrina Ferilli – ma anche una sceneggiatura a tratti ridondante, con dialoghi compiaciuti di sé. E l’Oscar ha innescato un tifo che ormai impedisce ogni seria valutazione critica. Io personalmente preferisco di gran lunga Il divo.
Decisamente La vita agra di Carlo Lizzani.
Intervista pubblicata su Club Milano 20, maggio – giugno 2014. Clicca qui per scaricare il magazine.