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LIFESTYLE

Per forza agile

La situazione generale legata al Covid-19 ha richiesto ad aziende e lavoratori di sperimentare e, in alcuni casi, aumentare, lo smart working. Passata l’attuale emergenza ognuno lavorerà da casa propria?

04 May 2020

C’è un’espressione che, negli ultimi giorni, è entrata prepotentemente nel novero di quelle più usate in Italia: smart working. Google Trends, come sempre, è un ottimo termometro per capire la diffusione di una novità e ci mostra che, dal 21 febbraio, giorno dell’esplosione della crisi sanitaria nel nostro Paese, le ricerche collegate a questo anglicismo hanno subito una crescita decisamente esponenziale.

Il “lavoro intelligente” nella terminologia ministerial-burocratica è diventato il “lavoro agile” ed è «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa», come riporta la Legge 81/2017 pubblicata il 13 giugno dello stesso anno sulla Gazzetta Ufficiale. Una definizione non completa perché, oltre a chi ha un lavoro subordinato, può rientrare tranquillamente nella categoria anche chi svolge un’attività autonoma e che, per scelta o necessità, sceglie la propria abitazione come luogo di lavoro: insomma, il cosiddetto popolo delle partite IVA.

Ovviamente, lo smart working non è adatto a ogni tipo di attività, in primis quelle di natura artigianale, industriale e legate al commercio al dettaglio. E, seppur il suo inserimento in un quadro legislativo sia recente, i tentativi di adattarlo alle nostre realtà aziendali risalgono a più di dieci anni fa. Unicredit, uno dei più importanti gruppi bancari italiani ed europei, ha iniziato le prime sperimentazioni nel 2008 e oggi fornisce a circa 7 mila dipendenti la possibilità di lavorare da casa (o dagli hub sparsi sul territorio) un giorno a settimana. Lo stesso fa Intesa SanPaolo, che ha iniziato più tardi – nel 2014 – ma mette più di 11 mila dipendenti in Italia nelle condizioni di svolgere le proprie mansioni fuori dalle sedi aziendali per più giorni al mese. Dati ed esperienze non estemporanee, che spesso sono oggetto di confronto in convegni come il recente Smart Working e Produttività, tenutosi lo scorso 14 novembre presso l’Auditorium di Cassina de Pecchi. L’evento, organizzato da Este, ha visto confrontarsi esponenti di aziende come la stessa Unicredit, Mitsubishi Electric e Coty.

La portata del cambiamento che immette questo tipo di flessibilità nel mondo del lavoro ha ripercussioni su diversi aspetti. Le grandi aziende ripensano i loro spazi interni: la scrivania fissa non è più un dogma e gli ambienti sono realizzati per accogliere i lavoratori che non si recano con frequenza diurna in ufficio. Una percentuale sempre maggiore di lavoratori flessibili ha impatto anche sul traffico e sul trasporto pubblico e, di conseguenza, sulle emissioni nocive per l’ambiente. La stessa vita familiare ne è influenzata, con una più equa suddivisione dei compiti in quei nuclei con figli dove tutti e due i genitori hanno accesso a forme di lavoro agile.

Va tenuto conto, però, anche degli aspetti legati alla produttività dei lavoratori. Non è semplice per tutti riuscire a concentrarsi e a offrire le stesse performance in un ambiente, come quello casalingo, considerato antitetico a quello lavorativo. Gli esperti, soprattutto in una situazione forzata come quella generata dall’emergenza sanitaria, suggeriscono di crearsi uno spazio dedicato all’interno della propria abitazione, di stabilire delle routine simili a quelle che si hanno in ufficio, di rispettare gli orari per break e pause pranzo, di vestirsi e prepararsi come se ci si stesse recando sul luogo di lavoro e di tenersi in contatto con i propri colleghi in maniera frequente con i tanti mezzi, digitali e non, che abbiamo a disposizione.

«Chi può, lavori da casa» è una frase che soprattutto nei primi giorni dell’emergenza Covid-19 ci siamo sentiti ripetere più volte da esponenti di governi nazionali, regionali e locali. Un invito che ha creato tanti smart worker improvvisati e, tra questi, non mancheranno certamente i favorevoli a un’applicazione di queste modalità in situazioni normali. Le riflessioni ci saranno anche nel mondo imprenditoriale. Si tornerà – si spera presto – alle scrivanie negli uffici, ma ragionare già ora su come il lavoro agile possa essere un alleato nella fase di ripresa dalla nostra economia è qualcosa che non ci si può esentare dal fare.

Il futuro al lavoro

Sono tanti i libri usciti nel corso degli ultimi anni che affrontano l’introduzione del lavoro flessibile nel nostro Paese e tutte le sue ripercussioni nella società. Su tutti vi consigliamo Il futuro al lavoro di Gianluca Spolverato (Guerini Next, 2017), avvocato e consulente specializzato in queste tematiche.

Articolo pubblicato su Club Milano 55 marzo – aprile 2020. Clicca qui per scaricare il magazine.

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