Il presente di Paolo Jannacci è un’acuta riflessione sul senso del fare musica oggi condividendo valori e ricordi, collettivi e familiari. Con qualche sana provocazione sull’uso del pianoforte, il politicamente corretto e le bizzarre derive della discografia
DI PAOLO CRESPI
03 May 2023
Il mio sarà un concerto per piano solo e con Frida, che si esibirà subito dopo, condivideremo il palco per un duetto in cui ci passeremo idealmente il testimone. Farò alcuni classici che mi porto sempre nel cuore – penso ai brani di Michel Legrand interpretati da Bill Evans o a standard jazz come Over the Rainbow – ma mi piacerebbe iniziare con Who Can I Turn To di Bricusse e poi costruire dei medley da inframmezzare a poche canzoni, mie (Alla ricerca di qualcosa o Voglio parlarti adesso) e del papà (Ti te se no…).
Sento ancora di più la nostalgia, la mancanza. Di come nel quotidiano affrontavamo insieme determinate sfide o avventure. Non cambiando sentiero e continuando a portare avanti questa operazione di ricordo necessario per la mia città e il mio paese, il dolore si acuisce proprio quando c’è più intensità e attenzione.
Mia aiuta vedere mia figlia Allegra, 15 anni a maggio. Seguirla con mia moglie Chiara mi fa vivere nella dimensione corretta di un padre e di un gruppo familiare, mi dà sicurezza e serenità. E quando mi metto a suonare mi ritiro in una dimensione più artistica e “onirica”. A volte il modo di lavorare e di pensare come facevo con mio padre Enzo mi fa venire in mente nuovi brani o soluzioni creative.
Il nostro è lo strumento più completo e strepitoso che ci sia, ma bisogna sapere bene come utilizzarlo. Si impara col tempo, e non parlo della tecnica. Il fatto è che dopo un po’ il pianoforte è difficile da reggere, diventa pesante, fastidioso. A differenza di uno strumento a pizzico come la chitarra, sempre piacevole all’ascolto, può anche romperti brutalmente le scatole. Il segreto è dosare bene gli ingredienti del repertorio. Ecco perché molti pianisti si soffermano su elementi ripetitivi e ipnotici, proprio per evitare di stordire lo spettatore con dieci “brani della vita” che poi finiscono per mandarti fuori di testa.
Lì, nel mio piccolo, ho sempre cercato di fare cose diverse. E anche il pubblico, molto più motivato che altrove, ti dà ogni volta indicazioni diverse su come suonare in quella determinata occasione. È un momento splendido. Puoi avvertire quasi il respiro della tua città.
È in primis il gruppo di musicisti del mio quartetto: Stefano Bagnoli, Marco Ricci e Daniele Moretto. Siamo tutti un po’ orsi e pieni di impegni, ma quando ci vediamo scatta la magia. E la libertà dell’ironia e del sarcasmo che sono merce rara in questi tempi ingessati in cui devi pesare ogni frase, ogni parola. Non ho tanti amici, ma fra loro ci sono sempre il mio discografico Tony Verona e i miei autori Paolo Re, Maurizio ed Emiliano Bassi.
Nì. I nuovi brani ci sono tutti, con un filo conduttore interessante che è uno sguardo su ciò che mi circonda e mi piace oppure no, con dentro i miei sentimenti di artista, di padre, di figlio. Ma il grosso punto di domanda è se ha ancora senso, oggi, uscire con un LP. Ci butti dentro due-tre anni di lavoro e dopo una settimana è già “vecchio”, sommerso da una valanga di uscite e in balia di ascolti improbabili. Il mercato non esiste più e la tecnologia non aiuta.
In nome della musica liquida abbiamo accantonato i cd audio che erano un supporto di grande valore: garantivano in tutto il mondo, con qualsiasi impianto, una qualità alta e una conformità del 99%. E celebriamo il ritorno al vinile che in realtà è un passo indietro di cinquant’anni. E se non hai un super impianto resti al palo. Per non parlare del livello degli mp3 sul telefonino… Per fortuna esistono ancora i live. A proposito, vi aspetto tutti a Jannacciami!, il concerto-omaggio corale del 3 giugno agli Arcimboldi. Ci sarà da divertirsi.
L’intervista a Paolo Jannacci è stata pubblicata su Club Milano 67. Clicca qui per sfogliare il magazine.