Nato a Beirut da genitori ebrei egiziani, si è sempre contraddistinto per i suoi toni misurati: non ama le urla alla Beppe Grillo o gli eccessi alla Travaglio, fuma il toscano e produce vino nelle Langhe. Il suo approccio alla professione parte dagli scritti di Giorgio Bocca e da un giornalismo che forse non c'è più. Abbiamo incontrato Gad Lerner a Collisioni, festival di letteratura e musica che si tiene proprio lì, nelle Langhe cuneesi.
DI NADIA AFRAGOLA
25 September 2014
Sono sicuro che attraverso nuovi canali e il collasso del modello attuale che predilige la contrapposizione tra opinionisti, si possa fare ancora qualcosa di buono. Emergeranno figure da dove meno lo si aspetta, dai nuovi media invece che dai giornali tradizionali: esattamente come successe nel dopoguerra.
Solo se prima si ripulisce l’ambiente. Serve una catarsi o una catastrofe: dipende dai punti di vista. La Rai deve comunque dimagrire. I talk show vogliono come protagonisti i tuttologi e meglio se sono sempre gli stessi, perché sai come reagiscono. Parliamo di personaggi della commedia dell’arte e di un meccanismo logoro in netta contrapposizione a quel giornalismo d’inchiesta tanto caro a Bocca.
Sarà un giornalismo più povero, si guadagnerà meno e ci sarà una selezione naturale. I giovani che si avvicineranno alla professione non lo faranno pensando di arricchirsi o per ottenere ascesa sociale. Sarà un mestiere sfigato e non sarà certo un male! È odioso detto da me oggi, che ho tratto profitto e benessere da questa professione, ma quando iniziai l’ultimo motivo per cui lo feci furono i soldi.
Non sono pessimista. È una straordinaria innovazione poter condividere in tempo reale le notizie in rete, mettendo anche in conto le controindicazioni e cioè che molte di quelle notizie in realtà sono solo delle palle.
Vale un tesoro. Chi ha faticato per conseguirla ne è consapevole più degli altri, perché sa cosa vuol dire dover dormire con l’ansia di un permesso di soggiorno in scadenza. Quel passaporto mi ha permesso di ritornare in Libano, dove sono nato e acquista una dimensione sovrana per quello che ha scritto sulla copertina: Unione Europea.
L’errore ci fu e fu collettivo, dell’intera struttura: in base alla legge vigente all’epoca il responsabile era il direttore e pagai, anche se l’errore non era poi così grave. Quei filmati oggi farebbero sorridere, ma all’epoca crearono un clima non idoneo a continuare il lavoro iniziato pochi mesi prima.
La mia speranza è che da entrambe le parti si sviluppi il dissenso e l’autocritica. Un amico che oggi non c’è più, Alexander Langer, parlando dei Balcani disse che servono persone capaci di sviluppare senso critico, servono i dissidenti capaci di arrivare a parlare ai leader delle due fazioni, non serve cavalcare l’odio.
Ho vissuto la Milano della crisi ai tempi della recessione e ho visto diminuire il traffico privato, non solo per il lievitare del costo del carburante. Sono aumentate le diseguaglianze, anche l’indifferenza. Un tempo c’era più attenzione verso i deboli, oggi l’agiatezza porta sempre più spesso a quel fenomeno che io chiamo della cecità sociale.
Da molti anni le imprese sono abituate a un mercato che occorre spartire, dove un rapporto di buon vicinato è meglio del rischio. Così ci siamo disabituati alla libera concorrenza. Il problema non è mica Expo! Parlerei di declino della creatività.
Sono in totale dissenso dalla scelta dei cugini. Il Milan ha improvvisato, sono per gli allenatori esperti e sono soddisfatto delle scelte dell’Inter.
Di non smarrire mai la molla della curiosità che mi ha sempre spinto ad andare oltre, la stessa che portava Bocca ottantenne a guardarsi intorno sempre come se ne avesse venti di anni. Non sarò mai Bocca: devi aver vissuto la sua vita per poter ambire a tanto. Mi auguro solo di mantenere e sviluppare quella straordinaria curiosità.
Foto di Gianluca Marino
Intervista pubblicata su Club Milano 22, settembre - ottobre 2014. Clicca qui per scaricare il magazine.